LA COMUNITA’
LO STARE INSIEME, SOCIETA’ E FAMIGLIA

Nella zona si venivano a sommare persone di ogni estrazione: i vecchi contadini, gli operai, le forze dell’ordine, i nuovi colletti bianchi del terziario che avanzava. In questo coacervo, forti erano i contrasti, i diversi modi, le diverse visioni di vita. Sempre, però, dietro ad un aspetto ruvido, si nascondeva un’umanità forte di una solidarietà che veniva direttamente dalle sofferenze della guerra.

Foto di gruppo Famiglia Bontempi

E quindi ci siamo fatti gli amici, e le compagnie, dopo l’oratorio. Ci si conosceva, ci si sposava. Noi appena sposati siamo andati a vivere qui, in subaffitto, nelle case popolari.
Nel frattempo, siccome lì c’era anche il circolo ACLI, in piazza, e niente ci si trovava lì al bar, e con gli amici si facevano anche delle iniziative anche sociali, diciamo. Noi giovani, adesso cosa facciamo, ci sposiamo, uno va da una parte, uno va dall’altra… Allora si era pensato di costituire una cooperativa. Che poi è questa, questa per costruire queste case dove adesso viviamo.

Foto di gruppo in Via Paganini

Eravamo in 28. Eravamo 5 fratelli, con i relativi consorti, poi i figli, le sorelle del mio papà… Facevamo la Vigilia di Natale, Natale pranzo e cena e Santo Stefano pranzo e cena. Per 28 persone… Discussioni e quant’altro, poi si giocava: si giocava a tombola, si facevano i mimi coi bambini perché volevi coinvolgerli – mimavamo i titoli delle fiabe, o dei film, o dei libri che leggevano a scuola.

La domenica, la Messa era alle 5.30, eh! Mio papà cominciava alle 4.30-5.00, perché come uscivano dalla Messa, le donne, alle 6.30-6.15, venivano tutte a fare la spesa, alla domenica mattina! Facevano la messa a quell’ora lì.
Pieno così! Mi ricordo che mio fratello Franco, forse uno degli ultimi anni, perché ha otto anni meno di me, si è svegliato e non c’era la mamma. È andato col padellino del latte, in chiesa, in mutande… “Mamma, guardi che c’è un bambino qua che la cerca”. Voleva la colazione! Aveva 4 anni.
Comunque la messa era alle 5.30, alla domenica. Poi si usciva e si andava tutti a fare la spesa. In macelleria, forneria, latteria. Sì, sì, era un momento… poi pian piano la gente terminava e andava a preparare il pranzo domenicale.

La sera della Vigilia c’erano i casoncelli, piatto fisso fatti dalla mia mamma. Intorno ai 1200 casoncelli, non la dozzina! 1200-1300 casoncelli.

C’erano tutti i letti pieni di
casoncelli, era uno spettacolo, veramente! E poi, come piatto della Vigilia, mio papà voleva il capitone e le lumache lessate con olio e sale. Il capitone quello marinato. Li vendevano nei barili di latta, ne prendevano un pezzo e lo mettevano in tavola per la Vigilia.

Matrimonio Famiglia Molinari. Viale Caduti del Lavoro.

Il mio era uno degli appartamenti grandi, che oltre alla camera dei genitori c’era la stanzetta per mio fratello. Ma le altre eran tutte con una sola camera da letto, e sopra di me abitava una famiglia che aveva 6 figli e facevano i turni. Lui, il marito, andava apposta a dormire la notte per lasciare il letto libero. E io ricordo comunque che la situazione era così per tutti, per cui io mi divertivo da matto a andare su, oltre a quanti erano loro! Mi divertivo perché mi buttavo su quel letto a fare i salti. non ho avuto un’infanzia felice, naturalmente, rimanendo senza papà, mia mamma ha dovuto… Era casalinga come tutte le donne, ha dovuto rimboccarsi le maniche e, di grazia, che Padre Bevilacqua le ha trovato il posto di cuoca alle scuole elementari e quindi veniva licenziata in giugno e ripresa in ottobre con l’inizio delle scuole. E lì ha lavorato diversi anni. C’era la refezione, tant’è che venivano le maestre dal comune, e le famiglie più disagiate… Si fermavano, così avevamo il pasto garantito anche noi, perché gli avanzi venivano portati a casa, le colleghe di mia mamma erano peggio di mia mamma, in situazioni peggiori.

Mariuccia. La mamma aveva il marito in sanatorio. Aveva cinque figli e doveva mantenerli, quindi aiutava mia mamma e poi altro. E mia mamma, il sabato, quando non c’erano le scuole, o la domenica – non mi ricordo – faceva una bella torta e mi diceva: “Questa è per la mamma della Mariuccia e gliela portiamo”. E mi portava da questa famiglia, che allora abitava in Via Crotte.

Dico, la famiglia che ho qui di fronte a me… Il padre faceva il calzolaio. Lui tagliava i capelli ai figli, i vestiti se li passavano l’uno con l’altro, per cui il più sfigato era l’ultimo. Erano 10 fratelli. La mamma, chiaramente, non lavorava perché faceva la casalinga.
Siccome io avevo dei problemi di alimentazione, non mi piaceva niente, ero un po’… Così loro hanno detto a mia madre: “Lo mandi a mangiare da noi”. Cioè… non ne hai del tuo! Quindi era un mondo così, un mondo nel quale c’era anche il perdono. Secondo me avevamo introiettato non so da chi, se dal DNA o che… che a uno gli devi sempre dare un’altra possibilità. Perché se non gli dai un’altra possibilità, puoi perdere delle cose importantissime.

Giù lì c’era la balera, la chiamavano la balera dei comunisti. Ma non c’entra la politica, venivano dentro tutti. E niente… Ma, una volta, a venire lì alla Baia del Re serviva el pasapört, perché lè, ghera una guera tra quartieri una volta…. Una volta ogni tanto facevano qualche scazzottata ma, alla fine, non era niente di… Il clima era traquillo. Poi, sai, ogni tanto c’erano quelli che nnan a muruse de lè, e le prendevano, quelli che nnaan a muruse de qua, e li guardavano con gli occhi storti. Le gelosie… Una volta eravamo un po’ ignorantotti, ma alla fine non c’era cattiveria.
All’epoca si davano quelli che, in dialetto, si chiamano gli Scotöm. Qui ognuno aveva il suo soprannome. C’erano quelli non molto puliti che si chiamavano “i Pursei”, per cui tutta la famiglia… Franco Pursel, Nano Pursel, Bimba Pursela.
Poi gh’era i Mosci, perché aveva il moccio. Poi gh’era Lima, perché sembrava un po’ un sudamericano, con gli occhi a mandorla. Poi gh’era Zuc, perché mangiava sempre lo zucco. Però ognuno se lo prendeva il suo soprannome e non è che ci facesse poi tanto caso.

Famiglia Bonometti sul terreno dove sorgerà
la nuova chiesa intitolata a Sant’Antonio. Fine anni ‘40.

Poi c’erano le varie bande. Alcuni hanno preso una strada un po’… delinquenziale, che però necessariamente sono anche restati amici. La prima macchina su cui io ho messo il culo per andare a fare il bagno a Jesolo è stata una Cinquecento rubata, immaginati!

C’era una gioventu’ che era
scalmanata. Il quartiere era un misto impressionate, perché qui c’erano: figli di poliziotti, figli di finanzieri, figli di carmelitani che non avevano più la casa al Carmine ed erano venuti qui ad abitare… per cui era un coacervo incredibile.
Gente che usciva dal periodo fascista e ancora aveva nostalgia del Duce, gente che aveva fatto il partigiano e che magari aveva perso i famigliari o i propri cari…penso che all’epoca fosse un po’ così ovunque.
Però, nonostante questo, non ci sono mai state robe come a Roma. Qui venivano gli zingari, tutti gli anni, a fare le loro feste.
Era un quartiere interclassista: lì abitava la maestra, qui abitava il professore, là il poliziotto, qui l’operaio.

Essendo il quartiere in quegli anni molto povero nessuno aveva dei veri giocattoli. Allora si poteva giocare in strada e noi bambini ci divertivamo con i tappi delle bottiglie: disegnavamo una mappa sull’asfalto e facevamo il nostro Giro d’Italia e ai tappi davamo il nome dei ciclisti.
Per fortuna, ma ogni tanto, c’era la possibilità di andare a vedere la TV in qualche locale del quartiere, e là ci trovavamo tutti insieme, grandi e piccoli.

Nessuno aveva la televisione. Avevamo da predisporre, dalle 18:00, tutte le sedie. Veniva tutto il quartiere, gente che stava anche fuori in piedi per vedere la televisione.
Mike Bongiorno, “La Strana Coppia”, “Il Musichiere”. Mi ricordo ancora le sedie, tutte in fila così, fino a fuori dal negozio. Nessuno aveva la televisione a casa, solo i bar ce l’avevano.
Mi ricordo anche quello sceneggiato, “Il Mulino del Po”. Fino ad un centinaio di sedie.

Poi c’erano quelli
che litigavano per i posti!

Noi andavamo a catechismo a Urago Mella e, al pomeriggio, cosa facevano? Andavamo qui all’ingresso della Cidneo e facevano il cinema. C’era una famiglia che abitava proprio in quella casa lì. Erano i Pescimoro, due fratelli, maschio e femmina. Tutti seduti per terra e si facevano le filmine. Tutti seduti per terra, dentro, però al freddo, tale e quale, così, dentro la Ruggeri, in portineria. Ci facevano entrare e ci intrattenevano un’oretta la domenica.

Il cinema vero qua è stato aperto da mio cognato e mia sorella. Prima lo facevano nel salone dell’asilo, hanno incominciato così, con una macchinetta, un proiettorino. E poi hanno aperto il cinema. Che l’ha costruito sempre Padre Bevilacqua e l’ha aperto mio cognato, Puton Lino, che è stato lì fino alla morte.
Severo, tutto pelato, con mia sorella. Era l’unico cinema che c’era qui. Altrimenti andavi a Garibaldi, al cinema lì.

Dall’album della famiglia Bettelli.

Dall’album della famiglia Bettelli.