Tutti terreni. C’era la nostra cascina, quella dei Chitò, quella dei Mangerini, la Baia del Re, la Casa Rossa – quella a metà Via Chiusure, dove c’è il bar prima di arrivare al distributore. Era chiamata la Cascina Rossa. Gh’era pö niènt dopo. L’era ciamàta la via degli Asini, sö mìa perché.
Quando sono arrivata, qui c’era poco, tutta campagna. C’era questa casa senz’acqua.
Avevamo la luce però eravamo dispersi, proprio nella campagna. Avevo i suoceri in casa. Sono entrata con due suoceri anziani e li ho avuti il nonno 8 anni e la suocera 20.
Ero una contadina su a Sant’Anna. I miei lavoravano il vigneto, il terreno. Era sul versante dietro, al Carretto. Si viveva dell’uva, del fieno, le galline, le uova, i conigli. Ecco, quello lì era il mangiare. Quando c’era, né!
Quando si faceva la vendemmia al Carretto, che avevamo le vigne dietro là, dal Carretto si portavano su coi gerli, si portavano su a Sant’Anna nelle cantine. Fieno uguale. Si falciava con la falce, il rastrello, la rete, si mettevano a spalle e si portavano su. Quella lì era la vita.
E quando era la domenica, si andava nella stalla con le nostre amiche lì vicino, andavamo a giocare a tombola nella stalla.
A carte, a tombola. Si andava nella stalla perché era calda. Allora dove c’era la mucca andavamo dentro e si giocava a tombola nella stalla.
Si andava poco in città, all’epoca. Io andavo a lavorare da ragazzina… Dicevamo “‘ndom èn Brèsa”.
L’atmosfera era bella, perché non c’era pericolo, i ragazzi andavano in bicicletta, col motorino, ma non c’era il traffico che c’è adesso.
Si andava all’oratorio.
Camino e si chiacchierava. L’unico divertimento che avevamo: andavamo alla Scaletta, lì c’erano i licinsì, che vendevano il vino, le salamine, quelle cose lì. Dopo si faceva un po’ di ballo, gli uomini giocavano a carte… e noi faèm ‘na baladìna. Ecco, quella è stata la nostra gioventù.
Tutti terreni. C’era la nostra cascina, quella dei Chitò, quella dei Mangerini, la Baia del Re, la Casa Rossa – quella a metà Via Chiusure, dove c’è il bar prima di arrivare al distributore. Era chiamata la Cascina Rossa. Gh’era pö niènt dopo. L’era ciamàta la via degli Asini, sö mìa perché.
Quando sono arrivata, qui c’era poco, tutta campagna. C’era questa casa senz’acqua.
Avevamo la luce però eravamo dispersi, proprio nella campagna. Avevo i suoceri in casa. Sono entrata con due suoceri anziani e li ho avuti il nonno 8 anni e la suocera 20.
Ero una contadina su a Sant’Anna. I miei lavoravano il vigneto, il terreno. Era sul versante dietro, al Carretto. Si viveva dell’uva, del fieno, le galline, le uova, i conigli. Ecco, quello lì era il mangiare. Quando c’era, né!
Quando si faceva la vendemmia al Carretto, che avevamo le vigne dietro là, dal Carretto si portavano su coi gerli, si portavano su a Sant’Anna nelle cantine. Fieno uguale. Si falciava con la falce, il rastrello, la rete, si mettevano a spalle e si portavano su. Quella lì era la vita.
E quando era la domenica, si andava nella stalla con le nostre amiche lì vicino, andavamo a giocare a tombola nella stalla.
A carte, a tombola. Si andava nella stalla perché era calda. Allora dove c’era la mucca andavamo dentro e si giocava a tombola nella stalla.
Si andava poco in città, all’epoca. Io andavo a lavorare da ragazzina… Dicevamo “‘ndom èn Brèsa”.
L’atmosfera era bella, perché non c’era pericolo, i ragazzi andavano in bicicletta, col motorino, ma non c’era il traffico che c’è adesso.
Si andava all’oratorio.
Camino e si chiacchierava. L’unico divertimento che avevamo: andavamo alla Scaletta, lì c’erano i licinsì, che vendevano il vino, le salamine, quelle cose lì. Dopo si faceva un po’ di ballo, gli uomini giocavano a carte… e noi faèm ‘na baladìna. Ecco, quella è stata la nostra gioventù.
Non uscivamo la sera. Si usciva anche accompagnate. Mio papà andava a prendere mia sorella che andava a lavorare, a 12-13 anni andava a fare la balietta. Il papà, all’ora che arrivava a casa, andava su fino al quartiere ad aspettarla. Perché il quartiere era illuminato, ma a venire in giù no.
Da piccola, solo andare da qui alla lattaia mi sembrava di andare… Oppure se andavamo, da Abrami. Già il fatto di andare alle Colombo a scuola era tanta strada, tanta!
Dopo il ponte Crotte, dove c’era la caserma, là c’era tutti campi. Lì dove c’era l’OM c’erano i terreni. Di qua e di là.
A trebbiare, oppure quando si arava. Loro, mio padre e i suoi fratelli, andavano fuori dietro al fieno.
Si andava a tagliar le viti, le pesche, perché di là dall’altra parte della strada erano tutte piantagioni di pesche, ndo g’hè Chitò. Da ché ndo g’hè Rosati ‘ndava fin là ‘n fund dove gh’è Lombardi – l’era töte pesche.
Per due anni abbiamo fatto piantagioni del tabacco. Quello richiedeva un bel lavoro. Catà le foie, infilsàle… (Raccogliere le foglie, infilzarle) Poi portaem lè, pò gherem da tacai vià per fà secà le foie (poi le portavamo in cascina, erano da appendere per farle seccare).
Dopo avevamo le mucche. Poi c’erano i maiali. Ecco, là in fondo c’era la stalla, abbiamo fatto anche l’allevamento di maiali. Ci alzavamo alle 5:00 minimo.
Eravamo qui già prima degli anni ‘40. I quattro fratelli erano ancora tutti assieme, i fratelli di mio papà. Ogni giorno a mangiare tutti insieme, in cascina, 22-23 a mangiare tutti assieme.
Chi cucinava? Mia suocera! Ma non era da sola, erano in quattro, facevano una settimana ciascuna.
In tempo di guerra, hanno fatto le trincee nei nostri terreni. Lì le trincee erano circa 3 metri di profondità, scavate tutte per la guerra, per quando
venivano li’ a buttar le bombe lì a Breda, ‘ndo facevan le armi… Ma töt a ma’, lè! (le hanno scavate a mano). So mìa quanti soldat che i era. Dopo però finita la guerra le hanno ricoperte. Però cos’è successo? Che prima era terra veramente coltivabile, dopo invece gh’era denter anche i sas…
Quant i venìa a büsa al purtù… gh’è stat dèle batalie… Volevano venire a dividere – noalter faem el frumento, vino, l’uva, le pesche e così… – vurie sparte en temp de guèra. Partigiani e soldati, per dire ‘na batuda. Lor vurie, e i miei genitori: “Vurie sparte chi? Gh’et laurat, te?”
Chiedi! Quelli che venivano qui, gom semper dàt argöta. Chèi che i venia là con chèla prepotenza lë… coi fucili anche… No, no. Gh’è stat dei momenti che i è stat mìa facili. (Quelli che venivano a bussare al portone della cascina.
Sono state belle battaglie…
Volevano venire a dividere – noi facevamo il frumento, vino, l’uva, le pesche e altro – volevano che dividessimo queste cose con loro in tempo di guerra. Partigiani e soldati, per dire. Loro arrivavano e pretendevano. E i miei genitori: “Cosa volete? Avete lavorato voi?”
Chiedere! Quelli che sono venuti qui a chiedere, abbiamo sempre dato qualcosa! Ma quelli che venivano, con quella prepotenza, anche con i fucili…
No, no! Ci sono stati momenti non proprio facili).
E’ 45 anni che siamo qua… me so stata là solo 10 anni, sono 55 anni che siamo sposati… Sarà stato nel ‘70 che abbiamo smesso di coltivare.
La sera mangiavi attorno al fuoco, poi mettevi la scaldina, prima la mettevano a noi e poi la mettevano loro. E la luce è arrivata negli anni… ‘61! L’ha messa la signora della prima villetta. Per averla anche noi, mio papà gli aveva detto: “Facciamo una cosa: io ti do 4 damigiane di vino e ci date la corrente”.
Mia mamma leggeva con la candela. E mia nonna diceva: “Smòrsala che si consuma!” Perché a mia mamma piaceva andare a letto e leggere, perché avevano freddo.
“Siamo tornati a rivedere dove abitavamo e pensavi di avere un cortile grande dove ci si giocava dentro…
Era un buco!” “Mi ricordo, fuori dal cancellino, perché noi avevamo un cancellino, c’era un vicoletto che andava dentro e poi c’era il cortile, che la mattina c’erano le flotte di operai in bicicletta che venivano da Gussago, da Cellatica, su Via Crotte Via Torricella, andavano alle fabbriche…”
“E passava il tram! E suo fratello metteva i chiodi sotto al tram e faceva i coltellini! Quando passava il tram, nel binario, no!? Schiacciava il chiodo, i chiodi quelli dei cavalli, perché, lì vicino a lui ferravano i cavalli, c’era il fabbro dei cavalli. Quando passava il tram, schiacciava il chiodo, bello piatto, e faceva i coltelli!” “Io, invece di abitare qui, prima di venir qua, abitavo vicino alla ferrovia e andavamo sui binari della ferrovia a raccogliere il carbone. Cadeva dal treno! Perché, certo, i treni andavano a carbone, no? Con il rischio di essere investiti dai treni!
E’ stato lì quando hanno portato via quei 32 piò. Pòta, lè restava un pezzettino da una parte, un pezzettino da un’altra. I miei genitori non l’hanno presa mica tanto bene “Dopo come facciamo? E cosa facciamo?” Non l’hanno presa tanto bene…
Era una vita che erano lì, erano contenti perché erano venuti via da Collebeato, là avevano solo le pesche. Venendo qua, con tutti questi terreni… l’è mìa che i’era stat tant cuntenc, ecco (non è che fosse contento).
Mio padre poi…
Mio padre c’era solo il terreno e basta. Quando è mancato il terreno a mio padre, è stata la sua morte. Perché nell’andare tra l’altro su al fienile è caduto, si è rotto la schiena e non ha potuto fare più niente. No, non l’hanno presa bene quando hanno cominciato a fabbricare.
Qui hanno costruito in due volte. Prima il terreno là, dove c’era la cascina, hanno fatto quello lì. Dopo nda la part de chè l’han fat dopo ‘n bel po’, dopo set o ot an i ga cuminciat (da questa parte hanno cominciato dopo un bel po’, sette – otto anni). Il primo è stato quando hanno tirato via quei 32 piò lì, hanno fatto il primo gruppo là, dove stavano quelli. A volte poi sempre quelli lì si lamentavano perché c’erano le mucche, c’era odore… e di notte facevano en po’ de casì. Pòta, le mucche…
Tutto in costruzione! La sera, quando i bambini giocavano in strada, allora non c’era né televisione né niente, le mamme uscivano in strada con la seggiolina e se la raccontavano e i bambini giocavano. Andavamo a nasconderci dentro le case in costruzione. Roba da farsi male! Ma per noi era un gioco.
Eravamo un po’ esterrefatti, perché avevamo cominciato con una strada così grande, luminosa, che non avevamo niente, né luce né niente. Poi hanno costruito la clinica… Il villaggio Sant’Anna l’hanno costruito e l’hanno cominciato ad abitare nel ‘60. Poi hanno costruito la clinica e si è fatta una zona di lusso.
Perché quando c’era il quartiere, la stradina era ancora stradina.
Poi quando è arrivata la clinica, nel ‘70, che l’hanno inaugurata, hanno asfaltato la strada perché veniva il vescovo ad inaugurare la clinica. Hanno incominciato a mettere le luci. Hanno asfaltato la stradina. La strada l’hanno aperta nel ‘78. Fino ad allora c’era la stradina, l’avevano asfaltata per la clinica.
A noi si e’ ribaltato tutto,
era campagna, passavano ma… Non ti dico quando hanno aperto via Bazoli, qua. È stata la distruzione totale! Al momento sembrava un posto che non ci stavi più volentieri, perché era diventato troppo movimentato. Non ti dico per venire fuori con il fieno quello che dovevamo fare! C’era già la strada grande, aperto poi lì, una volta si è persino fermata la polizia per farci passare. Mio papà doveva venire su con la macchinina con dietro il fieno. Io dovevo mettermi in mezzo alla strada per fermare le macchine di qui e
poi quelle di là per poter passare. Ci hanno lasciato aperto per noi. Per quello c’è il passo carraio.
E lì abbiamo fatto fatica, ci è cambiato il mondo.
Però ci siamo adattate, quasi.
I primi giorni arrivati qui… C’era la gente che arrivava con il carretto e…
E col cavallo! E sul carretto i mobili.
Sì, difatti anche mio zio mi ha accompagnato per fare il trasloco con la roba che avevamo, che non era chissà quanta roba, eh, col cavallo si portava la roba. Dopo non so chi ha… Più o meno o era il carretto oppure qualche camion. Poi un sacco di ragazzini, un sacco di gente… Quelli un po’ più grandi eravamo noi.
Quelli che venivano qua era tutta gente povera, perché altrimenti mica ti davano la casa. Certo che vedere la vasca da bagno… Non l’avevo mai vista! E tutte queste cose qui, insomma… Ci sembrava di essere venuti a stare chissà dove! No?!… In questa casa, con le piastrelle…
Capito? Prima noi avevamo una casa che veniva giù l’acqua dal muro, scorreva così l’acqua, e c’era sempre da asciugare in terra perché c’era sempre bagnato.
Arrivando qui sembrava di essere in un altro mondo. Madonna, una stanza a testa per dormire… Dormivamo in cinque in una camera noi!